Storia e origini della cacio e pepe
Dalla città eterna, un piatto protagonista di spicco del pantheon dei grandi classici della cucina italiana.
Un mostro sacro della cucina laziale
Coda alla vaccinara, gnocchi di semolino, saltimbocca e carbonara… Ma non solo! Uno dei piatti più iconici della cucina laziale e – per i più campanilisti- romana, è la cacio e pepe. Tra i primi di pasta più noti e apprezzati nel mondo, anche se non sempre rispettato nella sua autenticità di ingredienti ed esecuzione. Come avviene per molti altri piatti della tradizione italiana, la storia di questa ricetta rimanda alla tradizione contadina più semplice e genuina, o, meglio ancora, dell’umiltà dei pastori che, dalle greggi che curavano, ricavavano il latte che poi portavano con sé sotto forma di pasta secca nella loro bisaccia durante la transumanza, insieme a qualche pezzo di lardo per ungere le pentole di ferro e il pepe in grani. Con questi ingredienti rustici preparavano una ricetta veloce ma sostanziosa, capace di riscaldarli durante le notti trascorse all’aperto con il bestiame.
La difficoltà delle cose semplici
Pochi ingredienti (per la precisione 3) e una buona manualità sono tutto ciò che serve per preparare questa ricetta: solo “cacio” (ovvero formaggio) grattugiato, acqua di cottura della pasta (che viene tradizionalmente lessata senza sale per compensare l’estrema sapidità del vero protagonista del piatto) e, ovviamente, pepe (pestato nel mortaio poco prima del momento dell’utilizzo, perché mantenga intatto tutto il suo aroma). Il segreto per trasformare il tutto in una leccornia gourmet è la mantecatura, che deve rendere il tutto cremoso, sapido e piccante al punto giusto, naturalmente corposo ma senza l’aggiunta di grassi extra. Un condimento schietto che, grazie alla perfetta proporzione tra gli ingredienti e a una corretta modalità con cui vengono assemblati, riesce a raggiungere la giusta densità, in grado di avvolgere la pasta senza né filare, né ammassarsi sul fondo del piatto.
Non tutto fa “cacio” (c’è formaggio e formaggio)!
Sua maestà il pecorino rigorosamente Romano DOP, che vanta una tradizione millenaria ed è prodotto secondo un severo disciplinare. Uno dei prodotti caseari in grado di conservarsi a lungo per mesi (di qui la scelta dei pastori di portarlo con sé durante la transumanza nei lunghi mesi trascorsi fuori casa) e capace come nessun altro di garantire la cremosità caratteristica di questo piatto.
Tutte le regole in un disciplinare e in una formula scientifica
Se la ricetta in sè è alla portata di tutti, per realizzarla ci sono alcune norme categoriche (tra cui la qualità eccelsa degli ingredienti utilizzati) che garantiscono la perfetta realizzazione di una pasta cacio e pepe a regola d’arte e che sono fissate in uno specifico disciplinare e incluse in una ricetta che assomiglia a tratti a una formula scientifica. Per esempio il passaggio fondamentale della mantecatura deve avvenire fuori dal fuoco; la temperatura del formaggio deve essere inclusa in un range che va dai 50 ai 70 gradi (motivo per cui occorre attendere un attimo prima di unire la pasta appena scolata al condimento e far raffreddare un pò l’acqua di cottura della pasta, prima di aggiungerla alla mantecatura). In più l’acqua necessaria è quantificabile in 4-5 cucchiai ogni 120-150 g di pasta, ma il consiglio è quello di inserirla un po’ alla volta, mescolando lentamente in modo da ottenere una crema della giusta consistenza: non troppo viscosa ma neppure troppo liquida. Altro consiglio è quello di eseguire la mantecatura utilizzando una ciotola di ceramica, leggermente riscaldata in precedenza, con un po’ di acqua bollente oppure in una padella scaldata sul fuoco ma rigorosamente allontanata dai fornelli prima di versarvi la pasta.
Anche il formato conta!
Il tipo di pasta che la tradizione prescrive come più adatto per la preparazione della cacio e pepe sono i tonnarelli, un formato lungo, che assomiglia molto agli spaghetti alla chitarra originari di Abruzzo e Molise, rispetto ai quali però risulta più spesso (3-4 mm anziché 2 mm) e con sezione tonda invece che quadrata. Possono essere con o senza uova e, per chi non vuole prepararli a casa, si trovano facilmente in commercio, freschi nelle gastronomie o essiccati e confezionati. In ogni caso è sempre meglio una pasta artigianale, preferibilmente trafilata al bronzo, ed eventualmente essiccata a temperatura ambiente (così rilascerà molto amido in cottura, contribuendo alla mantecatura ideale). Vietato usare la pasta corta!
C’è anche un festival dedicato
La cacio e pepe è talmente importante nella tradizione gastronomica del lazio (e ormai di tutta Italia) che esiste anche un festival dedicato a questa ricetta. A Roma questa ricorrenza è ormai arrivata alla quarta edizione, ma sono molte altre le città in cui questa delizia viene preparata e servita in un contesto popolare e festoso, fatto di food truck e lunghe tavolate che occupano piazze e uniscono la cittadinanza in un’atmosfera di convivialità estemporanea, ma non meno utile per avvicinare l’intera comunità di perfetti sconosciuti estranei a questo piatto tipico ma democratico.